LA LOTTA TRA LA CHIESA E L’IMPERO

 LA LOTTA TRA LA CHIESA E L’IMPERO

L’imperatore Federico I detto Barbarossa, discese in Italia nel 1154 per riaffermare l’autorità imperiale sulla penisola, dove sempre più forte si sviluppava il movimento comunale, che aveva tratto largo profitto dalla contesa della lotta per le investiture, rafforzando progressivamente i margini di autonomia delle città; altro suo progetto era l’annessione del Regno di Sicilia alla corona d’Italia. Conclusasi in un nulla di fatto questa prima spedizione, l’imperatore ridiscese in Italia nel 1158 e impose il suo dominio, radendo al suolo le città di Crema (1159) e Milano (1162).La resistenza a Barbarossa preso corpo nella Lega lombarda (1167) il cui esercito sconfisse le truppe imperiali a Legnano (1176). Nel 1183 la pace di Costanza riconosceva l’autonomia dei comuni italiani. Quanto al Regno di Sicilia, Barbarossa pose le basi per una conquista per via diplomatica con le nozze di suo figlio Enrico (futuro Enrico VI) e Costanza D’Altavilla, unica erede al trono normanno. Enrico VI  scese in Italia nel 1191 per far valere i propri diritti sul Regno di Sicilia. Conquistata, dopo la morte di Tancredi, la Sicilia, il suo impero venne ad assumere proporzioni vastissime. In una compagine tanto estesa covavano però germi di dissoluzione, che esplosero alla morte dell’imperatore (1197). Il vuoto politico provocato dalla morte di Enrico VI diede nuovo potere al papato, grazie anche alla forte personalità del nuovo pontefice Innocenzo III, che subito rivendicò la superiorità del proprio potere, anche in campo temporale, rispetto a quello imperiale: coerentemente il papato intervenne più volte nelle vicende dell’Impero. Innocenzo III si impegnò a fondo anche nella lotta contro le eresie. Il papa bollò gli eretici quali infedeli più pericolosi degli stessi musulmani. Nel 1232 venne istituita l’Inquisizione, che si impegnò nella repressione di ogni eresia usando i mezzi più severi, compresa la tortura. Incoronato imperatore (1220), Federico II di Svevia, figlio di Enrico VI, si dedicò a consolidare il potere imperiale indebolito da 20 anni di anarchia. Ristabilì  la propria autorità contro baroni e città che avevano esteso abusivamente la propria autonomia e concluse vittoriosamente il contrasto scoppiato con il papato. L’opera di riorganizzazione del potere intrapresa da Federico nell’Italia meridionale fu assai ambiziosa: pubblicò le “costituzioni melfitane” (grande raccolta legislativa contenente i principi della sua politica), istituì un corpo di funzionari formati nelle  Università, creò aziende agricole di proprietà regia e inasprì il sistema fiscale, fece di Palermo un grande centro culturale. Mentre nell’Italia meridionale si consolidava il potere di Federico II, nell’Italia settentrionale aumentava l’autonomia dei comuni. La lotta scoppiò quando – appoggiata dalla Lega lombarda – Enrico VII, figlio di Federico, mosse contro il padre. Riportata una netta vittoria contro i suoi avversari, Federico II fu scomunicato nel 1245 dal papa che proclamò una crociata contro di lui, mentre si moltiplicavano gli episodi di ribellione contro il dominio svevo. La lotta terminò con l’improvvisa morte di Federico (1250). Il contrasto fra papato e impero provocò nei comuni italiani la lotta tra i loro sostenitori denominati rispettivamente guelfi e ghibellini.Tale lotta, però, traeva origine non tanto da motivi teologici quanto da preesistenti spaccature politiche interne al comune. La politica audace del successore di Federico II,Manfredi, provocò la scomunica del papa, il quale nel 1266 proclamò re di Sicilia Carlo D’Angiò, fratello del re di Francia. Manfredi fu sconfitto e così pure, poco dopo suo nipote Corradino. Il nuovo dominio angioino fu particolarmente duro; fra l’altro una forte pressione fiscale era resa necessaria dai tributi che Carlo D’Angiò si era impegnato all’atto dell’incoronazione  a versare al papa. Tale pressione fiscale fu tra le cause della rivolta della Sicilia contro gli angioini (1282), che con il passaggio dell’isola sotto il dominio aragonese, spezzò l’unità dinastica del Regno meridionale